In un’epoca tanto trasformativa quanto radicalmente fertile, serve lucidità per osservare le strutture che guidano il nostro modo di pensare, di vivere e di innovare. Dalle relazioni al lavoro, dal diritto alla tecnologia, oggi è importante capire se i modelli esistenti funzionano ancora, o se è arrivato il momento di riscriverli.
Smontare per (re)sistere significa cambiare prospettiva, anche quando è scomodo, guardare a ciò che conosciamo con il coraggio di ridefinirne il senso e aprirci ad altre visioni che siano più aderenti a ciò che serve. Alla realtà del presente. Per poter incidere sul futuro.
Le idee, i principi e i modi in cui pensiamo al lavoro, quindi la sovrastruttura che regge ancora oggi il mondo del lavoro, sono antiche, e riflesso di un contesto socio-tecnico-economico e culturale superato. Più grande sei, più controllo eserciti, più valore produci.
Ma quando i tempi cambiano, la tecnologia ristruttura interi ambiti quotidiani, le disuguaglianze aumentano e le strutture gerarchiche mostrano crepe evidenti, smontare diventa un gesto di resistenza e di trasformazione sociale.
È allora che rompere per ricomporre diventa urgente, per rispondere alla crescente frustrazione organizzativa, e può essere atto fondativo della società futura, perché come vale per la tecnologia e il diritto, la struttura che diamo alle organizzazioni non è neutra, ma vive in un rapporto di modellazione reciproca con la società: da una parte ne è il frutto, ne incarna i valori e gli squilibri, dall’altra le da forma e ne costruisce l’humus culturale.
...è allora che rompere per ricomporre diventa urgente
Allora, in primis, smontiamo la centralità del vertice assoluto — il modello del “comando, previsione e controllo”, che affonda le sue radici nella rivoluzione industriale: frammentato, gerarchico, basato sul controllo di chi “pensa il lavoro” su chi “lo esegue”. Una forma organizzativa che per secoli ha tentato di garantire efficienza e prevedibilità, ma comprimendo autonomia e creatività.
Questo paradigma piramidale mostra oggi tutti i suoi limiti perché incapace di tener conto della complessità (e quindi maggiore imprevedibilità) odierna, dove la società non solo ha esigenze concrete ed abitudini diverse dal passato (smart working, lavori a progetto, richiesta di maggiore trasparenza, sostenibilità e benessere), ma è anche largamente modellata dalle tecnologie che la abitano, l’IA in primis.
Per questo oggi è necessaria una nuova mappa delle organizzazioni, che trasformi la struttura ordinata e piramidale che conosciamo, in una rete di nodi che collaborano, capaci di prendere decisioni rapide e pertinenti, uniti da una visione collettiva e governati da un’infrastruttura di regole condivise, trasparenza delle informazioni e della conoscenza, e responsabilità distribuite.
Si tratta di un’evoluzione che abilita la capacità delle organizzazioni di essere anti-fragili, di innovare e adattarsi rapidamente, un modello organizzativo più fluido, aderente all’organizzazione reale della nostra società, ma che tiene dentro un set di valori per un futuro in cui anche l’impresa è luogo di crescita individuale e sviluppo della cittadinanza.
Oggi è necessaria una nuova mappa delle organizzazioni, che trasformi la struttura ordinata e piramidale che conosciamo, in una rete di nodi che collaborano
Smontiamo anche la retorica della crescita fine a sé stessa e ascoltiamo cosa ci chiedono le persone: etica, sostenibilità, equità e impatto positivo. Perché le logiche estrattive, orientate esclusivamente al profitto, rappresentano oggi una forma di resistenza a un cambiamento già in atto.
Quale ritorno sociale stiamo generando? Quali comunità stiamo rafforzando? Quali disuguaglianze stiamo riducendo?
Tradurre in valore tangibile ciò che spesso rimane invisibile, come il benessere psicologico, la riduzione dei gap occupazionali e retributivi, o la coesione sociale, non solo risponde a bisogni chiaramente espressi da cittadini e cittadine, ma vi restituisce importanza e orienta su che tipo di risultati vogliamo misurare, e quindi raggiungere.
Smontiamo anche la retorica della crescita fine a sé stessa
E, non per ultimo, smontiamo la cultura del segreto aziendale e della non-trasparenza.
E opponiamoci una trasparenza radicale: la complessità reale nella quale siamo immersi ci richiede di semplificare, e di poterci fidare ed affidare ad altri per sopravvivere. L’intelligenza collettiva (o connettiva) non è un ideale, ma una necessità che si manifesta attraverso la distribuzione delle decisioni e delle responsabilità (tra umani e tra umani e IA), e si costruisce su regole chiare e un processo di governance stabilito e trasparente.
Perché l’integrazione dell’IA all’interno dei contesti lavorativi sta già facendo emergere, come uno specchio, le storture del nostro modo di lavorare. Le inclinazioni malsane ma sistemiche. Allora anche nel lavoro è necessario comprendere rapidamente la grande trasformazione di paradigma in corso e iniziare a ridefinire la propria organizzazione perché sappia accogliere l’IA nel modo corretto. Lasciandole ad esempio spazio in una delle task in cui certamente eccelle, come il coordinamento, e adottando sistemi di agency collettiva, in cui umani e IA collaborano per prendere decisioni complesse.
L’integrazione dell’IA all’interno dei contesti lavorativi sta già facendo emergere, come uno specchio, le storture del nostro modo di lavorare
Quando a luglio di quest’anno abbiamo fondato Decentral, uno dei primi consorzi benefit in Italia, siamo partiti proprio dall’ambizione radicale di smontare l’impresa come la conosciamo — per farne un organismo vivo, distribuito, capace di evolvere. Un ecosistema nel quale si sperimentano e documentano nuove strutture e relazioni organizzative, ma anche una reale alternativa nel mercato della consulenza.
Decentral infatti lavora proprio alla frontiera di queste 3 direttrici di cambiamento, riunendo a oggi otto imprese specializzate in progetti di innovazione – organizzativa, del lavoro o tecnologica – di comunicazione e d’impatto sociale e ambientale. Una struttura composta da aziende verticali e agili, unite da tre principi cardine: centralità delle persone, trasparenza radicale, sperimentazione continua e volontà di portare un cambiamento sistemico.
Decentral
Allora l’invito a tutti noi è: osserviamo il modo in cui lavoriamo nella nostra organizzazione, e chiediamoci se ci soddisfa, se è ancora adatta al contesto di oggi. Può essere il modo in cui distribuiamo il valore, il modo in cui ascoltiamo la voce di chi “sta sotto”. Può essere una gerarchia, un privilegio, o un processo che forse non serve.
E proviamo a ricomporlo in un modo che dia senso, che restituisca autonomia, che generi impatto sul futuro, che costruisca una società più giusta, equa e pacifica dell’attuale.
Perché smontare non è distruggere: è resistere con creatività. È prendere il rischio di sembrare ingenui, o stare scomodi, per poter decidere del futuro.