RenDanHeYi, OKR e PA

martedì 14 ottobre 2025

7 minuti

RenDanHeYi, OKR e PA

Intervista a Andrea Tirroni

Qualche settimana fa, nel ragionare attorno ai temi di questo speciale, ci siamo imbattuti in questo articolo che conteneva due parole che stranamente vanno a braccetto: PA e Modello Haier. Leggendolo, abbiamo poi incrociato anche un pensiero sul framework OKR, cosa che ci ha spinti a contattare uno dei due autori, Andrea Tironi, per fare una chiacchierata che, a quel punto, ritenevamo imprescindibile.
Ne è nata un’intervista, che approfondisce e prova a sviscerare quello che è davvero un “pensiero necessario” sulle pubbliche amministrazioni e la ben nota resistenza al cambiamento.
Dopo aver realizzato questa intervista, più di un ragionamento è andato alla fattibilità di qualche progetto di sperimentazione: “cantiere” come ci piace dire in Kopernicana. Perché è vero che alcune idee sono -come chiosa lo stesso Tironi- strane/folli/lateralissime, ma anche che per scardinare meccanismi arrugginiti bisogna pensare oltre i limiti

Andrea, partiamo da un’immagine che mi ha particolarmente colpita per la sua immediatezza. Nel tuo articolo proponi la creazione di micro-team “micro-imprese pubbliche” che operano vicino al cittadino (es. “Servizi alle famiglie).
Quali servizi pubblici interni a un comune medio vedi come i più adatti a questa trasformazione in micro-team? E quali passi specifici suggeriresti per partire in quel caso?

Probabilmente vedrei bene: Servizi alle famiglie, Servizi alle Imprese, Servizi tra PA, Servizi Interni alla PA… È solo uno spunto embrionale di riflessione, anche se pensando a che tipo di servizi fornisce un comune queste aree potrebbero essere un inizio di suddivisione che va oltre la nomenclatura attuale. Oppure si potrebbe ragionare a macro temi: es. servizi digitali, servizi ambiente ed energia, servizi giovani e lavoro. Insomma non è facile definirli ma queste idee potrebbero essere la base per una ristrutturazione del modo in cui “si fa comune”, pensato molte decine di anni fa. Potrebbero anche essere uno spunto per passare dal “comune centric” al “citizen centric” al “life centric”: alla fine al cittadino non interessa come è fatto il comune, gli interessa di risolvere i suoi problemi; non vuole sapere che l’ufficio tributi si occupa della Tari, ma solo pagarla alla svelta e che qualcuno glielo ricordi se proprio deve.
Inoltre, si potrebbe ragionare anche e soprattutto a livello sovracomunale: in fondo il campanile e la rappresentanza democratica sono una cosa, il funzionamento della macchina un’altra e avere ancora comuni di 500 abitanti sembra anacronistico nell’epoca dell’AI, delle distanze ormai annullate e se rapportiamo i servizi dei comuni come criticità a quelli degli ospedali. Abbiamo ospedali a 20 km e vogliamo a tutti i costi che l’ufficio anagrafe sia a 150 metri.

Dal “comune centric” al “citizen centric” al “life centric”

Inutile girarci attorno. Un’idea simile va incontro a vari blocchi: culturale, normativo, competenze manageriali, rischio di frammentazione. Tra questi ostacoli, quale pensi sia il più gravoso per la PA italiana oggi? E quali azioni immediate (anche a basso costo) suggeriresti per iniziare a smantellarlo?

Sicuramente culturale dovuto allo scarso turnover e alla cultura principalmente legal del personale. Le figure STEM che ci sono nella PA vengono spesso soffocate dalla burocrazia e scappano o si trasformano in burocrati perché quello il sistema richiede. Quindi una consapevolezza della differenza di ruoli e un coinvolgimento maggiore che vada oltre la burocrazia difensiva con ambienti che davvero promuovono la possibilità di provare, misurarsi e anche sbagliare ma puntando in alto (ovvero agli OKR) sarebbe utile. Questo ha bisogno di un miglioramento anche normativo, perché fino a che le responsabilità dei dirigenti e i rischi associati in caso di errore saranno troppo alti rispetto alla possibilità di innovare, non si riuscirà a fare questo salto.

Fino a che le responsabilità dei dirigenti e i rischi associati in caso di errore saranno troppo alti rispetto alla possibilità di innovare, non si riuscirà a fare questo salto

Riprendiamo il tema OKR (Objective and Key Results). Tu parli dell’uso degli OKR come “sistema nervoso” per le micro-imprese pubbliche, per rendere trasparente e orientato ai risultati il lavoro dei team.
Puoi descrivere un esempio concreto (magari già sperimentato o ipotetico) di OKR, che possa funzionare in un ente pubblico locale? E come costruire OKR che siano sfidanti ma realistiche in un contesto normato?

La PA per passare da PA a PAmazon ha bisogno di due cose: creare fiducia e tempi definiti. Ci fidiamo di Amazon che è in USA e non della PA a pochi metri da casa: perché? Perché non abbiamo la sicurezza del risultato. Quindi vedrei bene degli OKR che permettano di fare delivery di quanto richiesto (Servizi) in tempi definiti con chiarezza e che puntino al tracciamento delle attività.

Obiettivo semestrale: Ridurre i tempi di prima risposta ad una pratica e ridurre i tempi di completamento pratica

Risultato chiave: da 60 giorni a 30 giorni per completamento, 24 ore per prima risposta

Iniziative: 

Analizzare il processo e mapparlo, valutare i colli di bottiglia, analizzare gli stakeholder, valutare il grado di digitalizzazione (usando anche le risorse di designers italia)

Valutare i software utilizzati, i dati necessari, l’interoperabilità interna ed esterna

Togliere i colli di bottiglia evidenti, azzerare la carta

Coinvolgere gli utenti finali nel design del nuovo processo, così i fornitori

Implementare il nuovo processo con relative notifiche e completamento

Provare in ambiente di test il nuovo processo

Portarlo in produzione

Gli OKR sono inoltre fondamentali per altri due aspetti. Da un lato il mondo va talmente veloce che aspettarsi (o credere) che le idee vengano ancora solo dall’alto è poco sensato. Le idee di miglioramento devono essere partecipate, non importa se top down o bottom up. Dall’altro, le nuove generazioni che non vedono il lavoro come un fine ma solo come un mezzo, se non ingaggiate mediante sistemi come gli OKR cambieranno velocemente lavoro, o daranno il minimo indispensabile o peggio ancora non contribuiranno al cambiamento futuro nel privato come nella PA. I giovani che non hanno più punti di riferimento (famiglia, religione, studia lavora vai in pensione, posto fisso, per dirne alcuni) cercano sempre più nel partecipare e nel contribuire un punto di tranquillità anche psicologica e gli OKR possono dare una grande mano in questo.

Il ruolo degli OKR

Tu suggerisci un percorso di cambiamento che possiamo riassumere con  “iniziare in piccolo, imparare, crescere”. Come assicuri che l’autonomia concessa ai micro-team non generi disallineamenti o silos? Quale modello di governance proporresti per garantire coordinamento centrale / locale, coerenza strategica, senza soffocare l’innovazione?

I silos ci sono già e spesso molto evidenti. Mal che vada saremo nella stessa situazione ma con micro imprese che internamente funzionano meglio, quindi il tema mi preoccupa poco. Del resto dubito che rimarranno i silos creando micro imprese perché la micro impresa vorrà performare bene perché l’autogestione porta, se ben costruita, maggiore accountability e quindi cercherà di influenzare anche l’esterno per migliorare. Almeno la mia esperienza è questa. Chiaro: se la microimpresa è sola in mezzo all’elefantiaco ente, non può cambiare il tutto. Ma se abbiamo un ecosistema di micro imprese, anche l’elefante si muoverà e si muoverà meglio.

Credo che il modello di governance migliore nei comuni sia quello che nessuno mappa mai: non una gerarchia, ma una serie di rapporti di dipendenza tra persone che poi mostrano come funziona davvero l’ente. Spesso ci basiamo sulla gerarchia per poi scoprire che il fulcro del funzionamento di un ente/azienda è una persona (o più persone) che faceva/no da “olio motore” a tutto l’ente, e lo scopriamo quando tipicamente quando queste persone se ne vanno. Quindi cercherei di mappare la struttura dopo un periodo di prova delle micro imprese in base a feedback reali delle micro- imprese stesse e delle persone per capire le “figure cardine” o “key person” e da lì cercherei di capire la struttura reale e la governance da attuare e chi inserire nella governance.

Iniziare in piccolo, imparare, crescere

Il cambiamento non riguarda solo strutture e processi ma persone e cultura. Quali modalità formative e di sviluppo delle competenze reputi più efficaci per preparare il personale pubblico (dirigenti e operativi) a un modello Rendanheyi? E come misureresti la maturità culturale nel cammino verso questo modello?

Negli ultimi 2 anni le proposte formative  nella PA sono diventate troppe, troppo sovrapposte e troppo frammentate. A mio avviso servirebbe un percorso formativo qualificante, che permetta di creare dei livelli di qualità professionale. Seguire 40 ore di corso “sparse” può essere comunque utile per migliorare, del resto se fosse un percorso progressivo, con step ed esami definiti e che porta a un valore nel proprio curriculum vitae sarebbe sicuramente più efficace del “ho seguito 160 ore di corsi negli ultimi 4 anni”. L’obbligo di formazione è comunque un inizio per passare da nessuna formazione a una formazione di base, del resto servirebbe un percorso qualificante “alla SNA” ma per tutti i dipendenti pubblici locali, che sia magari anche correlato allo stipendio ricevuto.
Essere un dipendente pubblico locale livello 1 dovrebbe essere diverso da essere un livello 12.
È come nel privato: se hai certe certificazioni puoi dimostrare di avere alcune competenze, perché nel pubblico non puoi acquisire certificazioni “da dipendente pubblico” magari spendibili anche nel privato? Chi lavora nel pubblico fatica a spostarsi nel privato perché essere un dipendente della PA viene visto come un “malus” nel privato. So che in Trentino ci sono sperimentazioni di scambio tra pubblico e privato come lavoratori, credo sia una cosa da perseguire.

Le competenze che trovo più difficili da trovare nel mondo PA per arrivare al modello Rendanheyi sono per la maggior parte quelle di project management oltre che STEM. Si è abituati a ragionare per pratica, procedimento e servizio e non per progetto, mentre il mondo va verso una trasformazione del lavoro a progetti. E si è poco abituati a valutare gli impatti (cosa che gli OKR aiutano a considerare), l’importante sembra far vedere che qualcosa si fa (detto anche function point). A volte questo approccio è dovuto sia a dipendenti con competenze ridotte che alla politica, che preferisce l’annuncio all’impatto perché il primo porta più voti e visibilità. Una gestione più programmata sarebbe quindi “auspicabile”. Questo è un po’ anche figlio della cultura italiana, molto creativa perché abituata all’emergenza continua e poco abituata alla programmazione strutturata.

Hai voglia di incontrarci, di valutare cosa potremmo fare insieme per la tua organizzazione?

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